Clima: colpo di calore
Ai tropici il clima è sovente
caldo umido nelle regioni di pianura, mentre è secco e
molto caldo durante la giornata nelle regioni
desertiche.
L'organismo viene sottoposto ad un particolare stress in
quanto è esposto anche a cambiamenti repentini della
temperatura ambientale (passaggio da stanze condizionate
all'ambiente esterno caldo umido).
La regolazione della temperatura corporea è il risultato
di un bilancio tra il calore prodotto dall'ambiente, dal
metabolismo dell'organismo, dall'attività fisica, dalla
luce solare ed il calore eliminato attraverso
l'irraggiamento (quasi i 2/3), l'evaporazione (quasi
1/3), la conduzione e la convezione. In alcune
situazioni (attività fisica intensa) la conduzione gioca
il ruolo maggiore nella dispersione del calore.
I bambini molto piccoli hanno meccanismi regolatori meno
efficienti e sono maggiormente a rischio di andare
incontro a colpi di calore o di freddo.
Il danno da calore si manifesta in forme di
gravità variabile specie se riconosciuto in tempo. Sintomi più
lievi "esaurimento da
calore", "crampi
da calore" [debolezza,
cefalea lieve, crampi, vertigini, nausea, lievi brividi,
tachicardia (aumento della frequenza del cuore)] possono
essere controllati con il riposo, una abbondante
idratazione orale (succhi di frutta, bevande con sali
come quelle impiegate dagli sportivi), spugnature fredde
o applicazioni di ghiaccio sul collo, alla radice degli
arti e sull'addome. Se sono presenti segni di maggiore
gravità caratteristici del vero e proprio "colpo di
calore" diventano necessari provvedimenti terapeutici
intensivi.
Colpo di calore:
in questa condizione il corpo ha perduto la sua capacità
di regolare la temperatura che si innalza al di sopra
dei 41° C. Le caratteristiche principali consistono nel
collasso e nel deterioramento psichico che può arrivare
alla confusione, al delirio ed al coma, fino al decesso.
I sintomi sopra menzionati (cefalea, brividi,
tachicardia, sintomi gastrointestinali, orripilazione)
diventano più gravi e si associa iperventilazione
(aumento delle frequenza respiratoria). Si tratta in
questo caso di una emergenza medica che deve essere
trattata in modo energico con raffreddamento rapido
(ghiaccio), reintegrazione dei liquidi per via venosa se
possibile. In caso contrario possono verificarsi danni
irreversibili ai reni, cuore e fegato. Se non fosse
disponibile acqua purificata da bere utilizzare in
questa situazione anche acqua non potabile.
Prevenzione del colpo di calore:
Alcuni fattori possono contribuire
a provocare il colpo di calore. Tra di essi l'età molto
giovane o avanzata, le malattie coesistenti; i farmaci
come le fenotiazine, gli antistaminici, gli
anticolinergici, i butirrofenoni, i beta-bloccanti
possono alterare la regolazione termica; alcune sostanze
di abuso come l'alcool, la cocaina e le amfetamine
possono aumentare la produzione di calore di origine
metabolica.
Anche una parziale disidratazione può interferire con il
meccanismo di regolazione della temperatura. Si deve
pertanto tenere a mente che anche una diarrea lieve può
condurre a seri problemi.
E' pertanto importantissimo mantenere una idratazione
abbondante e seguire le norme sotto riportate.
Per evitare il colpo di sole o l’ancor più grave colpo di calore
occorre seguire alcune semplici accorgimenti
(validi per tutti, ma in modo particolare per i bambini e per le persone anziane)
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- Evitare di esporsi a lungo al sole
- Evitare l’attività fisica moderata-intensa specie durante le ore più calde ed al sole: fino
a che non si è acclimatati perfettamente è sconsigliabile fare sforzi fisici per più di 30-90 minuti a giorno; evitare comunque sempre le ore più calde del giorno
- Indossare abiti adatti al clima, leggeri, ben ventilati, ampi, evitare sintetici (nylon)
- Indossare un copricapo a tesa larga (in particolare le persone ipertese)
- Bere abbondanti quantità di liquidi (con sali di potassio)
- Mantenere la pelle umida, ventilata e pulita (soprattutto i bambini)
- In caso di caldo molto intenso è consigliabile salare maggiormente i cibi
- Temere sempre il clima molto umido e prendere maggiori precauzioni in questo caso
|
Clima: protezione dai raggi solari
L'esposizione al sole è per
molti aspetti benefica ma le radiazioni ultraviolette
UVB e UVA possono essere dannose causando eritemi,
inducendo fotodermatosi da farmaci, promuovendo
l'invecchiamento della cute (cheratosi, epiteliomi,
melanomi), o indirettamente favorendo affaticamento
cardiaco o colpi di calore. Le scottature, causate
principalmente dagli UVB, sono infatti degli eritemi
mediati dalle prostaglandine che implicano un grave
danno cumulativo al DNA cellulare.
Per queste ragioni è consigliabile esporsi gradualmente
e con giudizio ai raggi solari e proteggere la cute
mediante creme.La suscettibilità alla luce solare ed
alle radiazioni ultraviolette e le precauzioni che
devono essere osservate dipendono in gran parte dal tipo
di pelle. Si riconoscono 6 tipi di pelle che manifestano
diversa sensibilità alla luce solare. I più esposti alle
ustioni sono ovviamente coloro che hanno la pelle di
tipo 1, chiara e con capelli biondo chiaro e rossi; la
facilità ad abbronzarsi e la resistenza alla esposizione
al sole aumentano gradualmente nelle diverse classi e
sono particolarmente alte nelle persone di carnagione
scura e di origine latina o asiatica. Il tipo di pelle
determina pertanto la minima dose in grado di provocare
un eritema: questa varia da circa 10' in coloro che
hanno una pelle molto sensibile a più di 60' per coloro
che hanno una pelle fortemente pigmentata.La prima
raccomandazione consiste nel minimizzare l'esposizione
tra le 10 e le 16, periodo nel quale i raggi solari sono
più diretti. Nei primi giorni inoltre, l'esposizione
dovrebbe essere limitata a 15 minuti.Gli abbronzanti
sintetici contengono in genere dididroacetone e non
hanno qualità fotoprotettrici.
Creme solari:
Le creme dotate di effetto schermo possono essere di due
tipi: fotoassorbenti chimici e riflettenti fisici. I più
moderni filtri solari sono per lo più dei fotoassorbenti
organici che in qualche caso contengono anche
formulazioni micronizzate di riflettenti fisici (ossido
di zinco e biossido di titanio). L'impiego di creme
solari con funzione di schermo consente di prolungare
l'esposizione ma non influisce sull'effetto dei raggi
UVA sull'invecchiamento della pelle. Le creme solari
sono classificate secondo una scala che definisce il
Fattore di Protezione (Sun Protective Factor o SPF):
secondo la Food and Drug Administration (FDA) i prodotti
con un SPF tra 2 e 12 offrono una protezione minima,
mentre quelli con SPF tra 12 e 30 una protezione
moderata; una protezione alta è offerta dai prodotti con
SPF superiora a 30. Le creme che sono dotate di fattore
di protezione superiore a 20 contengono di solito anche
il filtro per gli UVA di intensità variabile tra 1 a 12;
queste creme sono definite "a spettro allargato o
ampio". La protezione nei confronti degli UVA, benché
questi non causino direttamente eritemi solari, è
particolarmente importante in quanto riduce il rischio
degli effetti dannosi a lungo termine (tumori ed
invecchiamento). Il fattore di protezione corrisponde al
tempo relativo allo sviluppo di eritema (arrossamento)
della cute trattata rispetto alla cute non trattata; in
pratica una valore di 15 significa che la cute trattata
impiegherà 15 volte il tempo necessario alla cute non
trattata ad irritarsi in seguito all'esposizione ai
raggi solari. Occorre ricordare che per i test che hanno
portato alla definizione dei valori di protezione sono
impiegate in genere maggiori quantità di crema di quella
comunemente utilizzata. La scelta del fattore di
protezione dipende dal colore della pelle e dei capelli
e dalla sensibilità al sole. Le creme solari dovrebbero
essere applicate almeno 30 minuti prima dell'esposizione
al sole, ed ogni 2 ore e dopo ogni bagno o doccia.
L'efficacia
delle creme solari è ridotta dalla sudorazione, dalle
frizioni e dal contatto con l'acqua.
Scegliere quindi creme resistenti all'acqua. Queste sono
definite come "water-resistant o waterproof" quanto sono
efficaci per una durata massima di 40' di immersione,
mentre come "very water-resistant " quando offrono una
protezione fino ad 80' di immersione.Evitare di
asciugarsi ai raggi del sole in quanto le gocce di acqua
agiscono sulla pelle come lenti focalizzando i raggi
solari e favoriscono le ustioni.
Gli abiti forniscono ovviamente una protezione nei
confronti delle radiazioni ultraviolette. Non tutti gli
abiti hanno però un fattore di protezione totale: se è
possibile osservare, attraverso il tessuto tenuto di
fronte ad una lampadina delle immagini, il potere di
protezione del tessuto è inferiore a 15 e le persone che
hanno una pelle molto delicata rischiano di bruciarsi;
se si può osservare soltanto la luce il potere è tra 15
e 50, mentre se la luce non filtra è superiore a 50;
occorre anche ricordare che gli abiti umidi offrono
minore protezione rispetto a quelli asciutti.
Non consumare frutta contenente furocumarine (mango,
lime) prima di esporsi al sole in quanto potrebbero
causare depigmentazione permanente.
Attenzione, alcuni farmaci, deodoranti o profumi possono
causare una particolare fotosensibilità e dovrebbero
essere utilizzati con molta prudenza (Vedi tabella
sottostante).
E in caso di bruciatura?
Purtroppo non c'è molto da
fare. In primo luogo occorre evitare ogni altra
esposizione. I sintomi possono risentire in modo
benefico di anti infiammatori (ibuprofene, aspirina)
(attenzione alle controindicazioni). Se sono presenti
eritema ed edema importanti sono utilizzabili anti
istaminici e cortisonici topici o sistemici (in questo
caso è necessario chiedere il consiglio di un medico).
Esistono farmaci che possono favorire gli eritemi cutanei?
Si
Elenco di alcuni dei Farmaci che possono causare fotosensibilità
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Antiistaminici
Contraccettivi orali ed estrogeni
Anti-infiammatori non steroidei
Fenotiazine
Sulfamidici
Sulfaniluree (antidiabetici)
Diuretici tiazidici
Tetracicline
Antidepressivi triciclici
Acetazolamide
Deodoranti e profumi (al limone, alla lavanda, al bergamotto)
Attenzione ai prodotti di erboristeria
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Adattamento all'altitudine
Soggiornare a quote elevate
pone particolari problemi. L'organismo viene sottoposto
alla riduzione del tasso di ossigeno, ad attività
fisiche non abituali, a basse temperature.
La "malattia da alta quota" è sovente definita in modo
semplicistico come "mal di
montagna"; si tratta in
realtà di una patologia dovuta all'altezza mal tollerata
dal nostro organismo, oltre certi limiti ed in
particolari condizioni climatiche o soggettive.
Al giorno d'oggi è sempre più ricorrente, per la
facilità con cui si possono raggiungere direttamente con
l'aereo località in alta quota, per turismo (Perù,
Bolivia, Nepal), o trekking (Kilimangiaro, Ande
peruviane, Himalaya) raggiungere queste località senza
una adeguata preparazione.
Il vero rischio è corso dal turista medio non avvertito
né preparato, anche perché questo particolare aspetto
della medicina non è sovente ben conosciuto dal Medico
di medicina generale. Una recente rassegna
sull'argomento può essere utile al Medico di Medicina
Generale ed al Medico che si occupa di Medicina dei
Viaggi: High Altitude Illness, Hackett PH and Roach RC,
N Engl J Med 2001;345:107-115
Cause dell'insorgenza della malattia dell'altitudine
-
Diminuzione
della pressione di ossigeno e di anidride carbonica
nell'aria alveolare
-
Abbassamento
della temperatura
-
Disidratazione
Schema della tollerabilità dell’alta quota da parte di soggetti sani e da soggetti portatori di patologie croniche
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0-3.000 m.
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cosiddetta "zona indifferente": non si avverte sensibilmente la mancanza di ossigeno da parte di soggetti sani; individui affetti da broncopneumopatie, cardiopatie, anemia, ipertiroidismo, possono non tollerare anche altitudini inferiori ai 2.000 m.
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3.000-5.000 m.
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altitudine ben tollerata soltanto da soggetti allenati ed alpinisti; necessaria acclimatazione
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5.000-7.000 m.
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altitudine tollerabile con difficoltà e soltanto dopo acclimatazione; raggiungibile pertanto solo dopo aver soggiornato ad altitudini inferiori in precedenza
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>7.000 m.
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"zona critica" dove soltanto individui ben allenati e sani possono soggiornare per tempo limitato dopo acclimatazione
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Con il termine
di malattia da altitudine si indicano le sindromi
cerebrali e polmonari che si sviluppano in persone non
acclimatate poco dopo aver raggiunto ed aver soggiornato
ad alta quota. Il cosiddetto "mal di montagna" e l'edema
cerebrale da alta quota si riferiscono alle
manifestazioni cerebrali, mentre l'edema polmonare a
quelle polmonari. I fattori scatenanti sono
indubbiamente la rapidità di ascesa e la quota raggiunta
e soprattutto la quota alla quale si dorme; non sono
indifferenti tuttavia le caratteristiche individuali. Lo
stato di benessere a livello del mare e l'età non sono
predittivi sulla insorgenza di queste sindromi. E'
tuttavia ovvio che una malattia preesistente (specie
polmonare, cardiaca o neurologica) possano incidere
negativamente sulle capacità di tollerare un'alta quota.
Il mal di montagna si manifesta con una incidenza fino
al 42% dei casi per soggiorni a quote > 3.000 metri.
L'edema polmonare (molto grave) si può verificare con
percentuali variabili tra lo 0,5 ed il 4,5% nei soggetti
che soggiornano a quote tra i 3.700 ed i 4.700 metri.
Prevenzione
La prevenzione di questa malattia si basa
sull'acclimatazione: con questo termine si intende un
adeguamento alle condizioni dell'alta quota tale da
indurre un senso di benessere fisico e psichico a riposo
e da permettere di compiere sforzi muscolari di un certo
grado senza stancarsi e recuperando rapidamente le
forze. L'acclimatazione richiede tempi lunghi e si può
dire che è completa soltanto nei nativi d'alta montagna.
Durante le prime fasi di acclimatazione sono presenti
costantemente respiro frequente e tachicardia e nel 40%
dei casi si registrano anomalie non specifiche
dell'elettrocardiogramma per lo più non avvertite.
All'arrivo in alta quota, oltre i 3.000 metri, può,
nelle prime ore, non essere avvertito alcun disturbo; si
verifica successivamente una fase detta di adattamento
acuto della durata di 1-5 giorni cui segue il nuovo
equilibrio respiratorio e della circolazione. Il tempo
necessario per ottenere un acclimatazione stabilizzata
ai migliori livelli si ottiene soltanto successivamente
e può richiedere agli individui non allenati fino a 2-3
settimane.
E' pertanto opportuno che le quote elevate vengano
raggiunte con un'ascesa graduale e che nei primi giorni
in quota vengano svolte con molta moderazione le
attività fisiche. La regola generale consiste nel non
salire e soprattutto non dormire, a quote superiori di
600 metri rispetto a quelle di soggiorno nelle 24 ore
precedenti, quando si superano i 2.500 metri. Ogni
ulteriore ascesa di 600 metri dovrebbe richiedere 24 ore
di acclimatazione.
Alcuni esperti suggeriscono anche
una profilassi con farmaci come l'acetazolamide (Diamox)
125-250 mg due volte al giorno iniziando il giorno prima
e proseguendo per due giorni dopo l'arrivo in quota per
coloro che hanno progettato di recarsi al quote
superiori ai 3.000 metri in un giorno solo (es. viaggi
aerei); in l'aternativa possono essere suggeriti
cortisonici come il desametazone. Altri prodotti come
l'aspirina o gli estratti di Ginko o erbe cinesi sono al
vaglio di studi controllati. Per la profilassi
dell'edema polmonare alcuni autori suggeriscono la
nifedipina ed i beta-agonisti.
Si tratta in tutti i casi
di farmaci che devono essere prescritti e somministrati
sotto controllo medico e non sono esenti da effetti
collaterali e controindicazioni (l'acetazolamide ad
esempio è un derivato sulfamidico potenzialmente fonte
di reazione allergiche anche molto gravi, emorragie
ecc.).
Si deve anche ricordare
come il consumo di alcolici e di ipnotici (utilizzati
per eventuale insonnia, che è frequente quando di dorme
in alta quota) possono aumentare le possibilità di
malattia da altitudine; si consiglia pertanto di
evitare il consumo di alcolici
e di non assumere ipnotici.
Riconoscimento e terapia
Il Mal di montagna si definisce
come una cefalea, in una persona non acclimatata che sia
di recente giunta ad una quota superiore ai 2.500 metri,
associata ad uno dei seguenti sintomi: anoressia,
nausea, vomito, insonnia, vertigini, astenia. L'edema
cerebrale è la fase successiva più grave ed è
caratterizzato da atassia (incapacità di coordinazione),
alterazioni della coscienza, paralisi dei nervi cranici,
allucinazioni. L'edema polmonare è caratterizzato da
dispnea a riposo, tosse secca, grave prostrazione,
sudorazione, cianosi (colorazione bluastra delle dita o
delle labbra), tachicardia (aumento della frequenza
cardiaca), tachipnea (aumento della frequenza
respiratoria), sangue nell'espettorato, febbre, rantoli
all'auscultazione del polmone. Molte volte i quadri
clinici si sovrappongono.
I sintomi del mal di montagna e dell'edema cerebrale si
manifestano in genere tra le 6 e le 10 ore dopo
l'arrivo; in qualche caso possono comparire già dopo
un'ora, mentre quelli dell'edema polmonare compaiono
nelle 24-48 ore seguenti all'arrivo; raramente entrambe
le sindromi insorgono dopo più di 4 giorni di permanenza
ad alta quota.
Il trattamento si basa su:
1.
riposo assoluto alla comparsa dei primi sintomi; se non
si osserva miglioramento scendere di quota di almeno
500-1.000 metri;
2.
astensione da ogni ulteriore ascesa;
3. se sono presenti segni
di edema cerebrale (anche soltanto cefalea molto grave)
scendere di quota (500-1.000 metri);
4. Ossigeno a basso flusso
(2-4 L/min) nel caso dell'edema cerebrale, a flusso
maggiore (6-8 L/min) per l'edema polmonare;
5. trattamento
farmacologico a giudizio di medico presente:
acetazolamide, o desametazone nel caso di edema
cerebrale.
Si consiglia comunque di assumere
farmaci soltanto sotto controllo medico.
I primi sintomi indicanti un cattivo adattamento
consistono, come detto, in cefalea, insonnia, vertigini,
perdita di appetito. Se persistono anche dopo il riposo
o se insorgono sintomi maggiori come tosse, respiro
affannoso, cianosi (colorazione bluastra delle dita o
delle labbra, espressione di sofferenza cardio-polmonare
o di edema polmonare) o cefalea intensa, vomito,
confusione (espressione di sofferenza cerebrale o edema
cerebrale) è assolutamente necessario scendere
immediatamente ad altitudini inferiori di almeno
500-1000 metri.
Somministrare ossigeno; eventualmente acetazolamide,
nifedipina, cortisone (desametazone - Decadron) sotto
controllo medico.
Condizioni di salute che controindicano il soggiorno ad altitudini elevate
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- Malattie cardiache coronariche (infarto nelle 4 settimane precedenti, angina,
ipertensione medio-grave)
- Insufficienza cerebrovascolare
- Malattie respiratorie (asma mal controllata, enfisema, pneumotorace ricorrente
spontaneo, pneumonectomia)
- Malattie del sangue (anemia grave, drepanocitosi)
- Epilessia non controllata
- Diabete insulino-dipendente
- Malattia tromboembolica
- Precedenti episodi di intolleranza all’altitudine
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